28 agosto 2016

Manon Meurt - Manon Meurt [EP Review]

Originari di Rakovnik, una cittadina della Repubblica Ceca, i Manon Meurt hanno esordito con l'EP omonimo quasi due anni fa. Poi - complice forse anche uno show praghese di spalla ai My Bloody Valentine - il nome dalla band ceca ha cominciato a circolare fino ad arrivare alle orecchie della Label Obscura Records di Toronto, che ha saggiamente deciso di ristampare il disco, rendendolo finalmente disponibile per un pubblico mondiale.
I quattro Manon Meurt sono evidentemente dei discepoli dello shoegaze dei primi anni '90: si sente in ogni nota - o meglio in ogni distorsione - della mezz'ora del loro debutto. Tuttavia, a differenza di tante band che condividono gli stessi modelli, Káťa Elznicová e compagni sembrano davvero possedere una marcia in più. Fin dall'iniziale To Forget, i cechi mostrano - oltre a tutto il corredo chitarristico d'ordinanza, pennellate atmosferiche e muri di suono - una immediatezza melodica che li accomuna più al dream pop dolce e vigoroso dei Pains Of Beeing Pure At Heart che alle dilatazioni a mezze tinte di Slowdive ed epigoni vari. Ci sono anche qui, come è giusto che sia, momenti di etereo ed inquieto crepuscolarismo ('94, Until You Can, i sette sognanti minuti finali di Blue Bird), ma alla fine ciò che rimane più impresso sono i toni più luminosi, che un in pezzo splendido, arioso ed energico al tempo stesso, come In These Eyes trovano pieno e dinamico compimento. 



 

24 agosto 2016

Isola - Contain Your Youth [EP Review]

Sono sempre molto curioso quando mi imbatto in nuovo gruppo scandinavo, e il fatto che gli Isola abbiano lo stesso nome di un celebre album degli svedesi Kent non può che aggiungere interesse e simpatia nei loro confronti.
La Svezia, si sa, è terra di indie pop, ma la band basata a Uppsala non segue i canoni a cui siamo abituati in questo blog. La formazione conta ben sette membri (da quello che ho capito sono tutti studenti alla locale università) e la loro proposta musicale sfugge al guitar sound imperante per abbracciare uno stile piuttosto personale che ruota attorno al pianoforte di Johan Fallström, alla voce di Klara Gustafsson e al sassofono di Nathaniel Hovsepian, forse il vero marchio distintivo del gruppo.
Al di là di un discorso di genere - che non è facilissimo: diciamo che abbiamo a che fare con una dimensione di stampo cantautorale piuttosto onnivora - sono le canzoni stesse di Contain Your Youth a fare degli Isola un progetto degno di grande attenzione. Personalmente mi è bastato ascoltare il singolo Untreatable Optimism, quasi un manifesto programmatico della band, per restare impressionato dal talento pop dei sette svedesi. In effetti, come recita il titolo del pezzo, è come se da ogni nota suonata dagli Isola emergesse un irrefrenabile ottimismo, l'entusiasmo di fare musica insieme, con l'unica finalità di costruire qualcosa di bello, di piacevole, di colorato e, in fondo, di unico. 
I 6 pezzi dell'EP si dividono quindi tra momenti più mossi e varipinti (Old Friends, Be Safe / Be Sound) ed altri maggiormente atmosferici (la splendida ballata Flowers, la morbida delicatezza della conclusiva Circles), trovando sempre - in modo più spontaneo che costruito - la quadratura del cerchio.
Consigliato a chi vuole ascoltare qualcosa di bello e di diverso.


20 agosto 2016

Tape Waves - Here To Fade [ALBUM Review]

I Tape Waves, di Charleston, North Carolina, sono ormai un nome conosciuto nel mondo indie pop. Due anni fa Let You Go, il loro album di debutto con palme e cielo crepuscolare sulla copertina, ha fatto apprezzare non poco il suono etereo, elegante e dilatato della band. 
Here To Fade, l'opera seconda di Kim e Jarod Weldin, prosegue sulla medesima linea, disegnando i paesaggi morbidi e sfumati che già conoscevamo dagli esordi dei Tape Waves. Le 10 canzoni del lotto si succedono una dopo l'altra quasi senza soluzione di continuità, attingendo colori pastello dalla medesima tavolozza onirica e mettendoli sulla tela con mano più che gentile. Dall'iniziale So Fast alla conclusiva Morning Time la coerenza stilistica del duo di Charleston è granitica: una chitarra acustica appoggiata sulle placide trame jangly dell'elettrica, la voce diafana e sottile di Kim a guidare lungo melodie di sfuggente dolcezza, dei sinth a fare da impalpabile bordone, un'atmosfera carezzata da una quieta brezza estiva, quella fragilità sognante che possiamo trovare anche nei dischi degli Eternal Summers, degli Echo Lake, dei Go Cozy. 
Alla lunga può affiorare un po' di ripetitività, ma l'album è senz'altro dotato di grande fascino.


16 agosto 2016

Starry Eyed Cadet - Places We Don't Belong [ALBUM Review]

Stando a quanto scrivono di sè, i californiani Starry Eyed Cadet sono cresciuti a pane e Sarah Records. Ascoltando le canzoni di Places We Don't Belong, il loro primo album dopo un EP d'esordio uscito un paio d'anni fa, non possiamo che confermare che deve essere stato così. 
I cinque di San Francisco non sono dei ragazzini (un paio di membri hanno suonato nei Marine Life), tutti compongono e cantano, e possono evidentemente vantare dei voti alti in storia dell'indie pop, in tutte le sue incarnazioni possibili. 
Nei nove episodi del disco troviamo un tocco leggero di noise pop, delicate carezze twee (soprattutto grazie alla voce di Sally Jati), fresche chitarre jangly, un po' di zucchero filato dream pop, dichiarate nostalgie sixties, echi della K Records ma anche della Elefant, melodie sfrontatamente catchy, florilegi di cori e coretti, ritmi sorridenti e uptempo, e in definitiva un'idea di pop song estiva e solare, adattissima a questo periodo. 
Non cala davvero mai l'ombra sui pezzi degli Starry Eyed Cadet, e in alcuni momenti - citiamo giusto l'irresistibile On The Run, Reaction, Social Call e l'iniziale Worlds Collide - un ascolto prolungato potrebbe procurarvi persino una piacevole abbronzatura. 
Affrettatevi prima che arrivi l'autunno!



12 agosto 2016

Basement Revolver - Basement Revolver [EP Review]

Parlare di una band facendo riferimento ad un'altra non è mai elegantissimo e spesso può essere limitante. E' difficile però parlare dei Basement Revolver senza tirare in ballo gli Alvvays. In fondo non soltanto entrambi i gruppi vengono da Toronto, ma il terzetto dei Basement Revolver sembra davvero condividere quasi in toto l'approccio all'indie pop della premiata band di Molly Rankin. 
Basement Revolver, l'EP di debutto di Chrisy Hurn e compagni, arriva qualche mese dopo la pubblicazione di un singolo, Johnny, che per larga parte dei media specializzati già aveva incoronato i tre canadesi come i nuovi Alvvays e che - a buona ragione! - si è fatto subito notare come ideale contendente al titolo di indie pop song dell'anno. 
Words, la canzone che apre l'EP, a mio parere sposta l'asticella ancora più in alto, testimoniando ormai con certezza le capacità di scrittura dei Basement Revolver, fondate su un irrequieto e incalzante dinamismo, una intelligente stratificazione sonora ed una fascinosa voce femminile: un mix virtuoso che personalmente mi ricorda i primi Fear Of Men.
Il guitar pop melodico e al contempo tormentato della band di Toronto si arricchisce poi di sfaccettature negli altri due riusciti pezzi dell'EP: la meditativa e dilatata Lake, Steel, Oil (con grande crescendo shoegazer nel finale) e l'ancora più ampia, elettrica e notturna Family
Uno degli esordi più significativi dell'anno: da non perdere!


09 agosto 2016

Snail Mail - Habit [EP Review]

I haven't felt right in a week canta Lindsey Jordan nel primo verso di Thinning, il pezzo che apre l' EP di debutto di Snail Mail. In effetti, se stiamo alle liriche - essenziali ma decisamente efficaci - dei 6 episodi del disco, l'umore è quello di un inquieto ma quasi rassegnato disagio adolescenziale. Lindsey, che vive a Baltimore, Maryland e ha 17 anni, ha scritto e suonato queste canzoni in camera sua con un paio di compagni, e la produzione di Habit non ha aggiunto particolari abbellimenti alla nudità originale dei pezzi, in bilico tra una dimensione cantautorale ed la ruvidità indie di una Waxahatchee. 
Fin qui nulla di particolarmente strano: di diciassettenni di provincia che imbracciano una chitarra e danno sfogo alla loro alienazione ce ne sono e ce ne saranno sempre. Ciò che sorprende però nelle canzoni di Snail Mail è la densità, la maturità di scrittura, quella innegabile immediatezza capace di imprimere slancio melodico anche ai momenti emotivamente più cupi (il finale di Static Buzz è esemplare) e, bisogna dirlo, una complessiva sicurezza strumentale (la chitarra elettrica della Jordan ma anche il drumming mai scontato di Shawn Durham) che per dei liceali è quanto meno stupefacente. 
Pezzi ampi come Dirt o Slug, con la loro trattenuta esuberanza, centrano perfettamente l'idea di songwriting introverso ed al contempo energico di Snail Mail, ma è con la lunga, morbida e insieme straziante Stick, la canzone che chiude l'EP, che Lindsey Jordan mette in luce tutto il suo talento, in una ballata da loser voce-chitarra che mette i brividi. 


05 agosto 2016

Young Scum - Zona [EP Review]

Pare che Zona, il titolo dell'EP  dei virginiani Young Scum appena uscito, alluda all'Arizona Iced Tea, la marca forse più diffusa di tè freddo negli States. E in effetti pochi dischi sono estivi e rinfrescanti come quello prodotto dai quattro ragazzi di Richmond.
I cinque pezzi di Zona si succedono con fluida naturalezza a partire dalla brillante e coinvolgente If You Say That, inanellando una serie di perfette e rapide indie pop songs dove le chitarre di Chris Smith e Ben Medcalf intrecciano spumeggianti trame jangly, rincorrendo melodie di grande immediatezza e rivestendosi di sferzante elettricità negli efficaci momenti di crescendo (l'incalzante ritornello della splendida Sun Drop, la conclusiva potente Out Of State, dove sembra esplodere l'energia trattenuta nei pezzi precedenti).
In definitiva una delle uscite dell'estate 2016 da non perdere!


 

02 agosto 2016

Red Sleeping Beauty - Kristina [ALBUM Review]

Appena ho letto che la Shelflife stava per pubblicare un nuovo album dei Red Sleeping Beauty ho pensato che fosse una raccolta di vecchi pezzi. Non stiamo parlando in effetti della classica band che si è presa il classico biennio sabbatico tra un disco e l'altro, ma di un gruppo che ha fatto la storia dell'indie pop svedese e che non pubblica niente da - attenzione - quasi vent'anni!
La malattia e la lunga e difficile guarigione di Kristina Borg (a lei è dedicato il disco) sembra essere stata la scintilla che ha fatto riunire Niklas Angergård (sì, uno dei due Angergård degli Acid House Kings) e gli altri membri della band attorno a dieci canzoni che sono al contempo nuove e "vecchie", perchè sembrano davvero essere uscite dal repertorio dei Red Sleeping Beauty dei primi anni '90. 
I Nostri sono dei maesti in quella forma di indie pop tutta scandinava che mescola con onnivora eleganza e un tocco di ironia leggera elementi di elettronica (da quella più "popolare" ai Depeche Mode), chitarre acustiche e jangly, gusto per la melodia sixtie e di presa immediata, suggestioni esotiche, citazioni colte e meno colte. Artisti di adesso come Lost Tapes o Azure Blue, per dire, devono quasi tutto allo stile imbastito dai RSB due decenni fa.
Dal frullatore pop della band di Stoccolma escono oggi canzoni di grande fascino e piacevolezza come Cheryl Cheryl Bye e In The Darkest Hour e piccole gemme dal ritornello killer come Always e Tell Me More, dove i sinth convivono con naturalezza con gli strumenti analogici.